Del racconto erotico (o Il piacere dell’attesa)

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“Bondage, sadomaso… non riesco a farmelo piacere. Anche perché sono sempre le donne a essere legate o picchiate”. Così ha obiettato una mia carissima amica, mentre le raccontavo delle mia prima esperienza a un incontro bondage. Non sono riuscita a ribattere subito perché, nonostante la sua affermazione non fosse del tutto vera (al Peer rope avevo visto numerosi ragazzi legati da espertissime rigger), le immagini mainstream del bondage e delle pratiche Bdsm vedono molto spesso una donna nel ruolo della sottomessa. Basti pensare alla trilogia di 50 Sfumature…. E’ una sensazione di fastidio, un prurito femminista, chiamiamolo così, con cui anch’io ho dovuto fare i conti all’inizio di questa esperienza: siamo così abituate (purtroppo) e combattere un certo tipo di oppressione maschilista, che cedere il controllo sul nostro corpo e farlo volontariamente sembra una bestemmia, qualcosa che va contro a tutto ciò che siamo. Non è così ovviamente, ma la sensazione resta. In più si sa molto poco della “donna dominatrice”, è una figura che compare poco nella letteratura e nella cinematografia, se non come caricatura armata di frusta, in bilico su trampoli a spillo e ricoperta di latex dalla testa ai piedi. Allora ho pensato: se la montagna non va a Maometto… mi dovrò scrivere il mio personale racconto erotico. Dove a tenere le redini (o le corde, in questo caso) è la donna. Prendetelo come il mio personale pensiero di San Valentino, per tutti voi maliziosi. Buona lettura 😉

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Il piacere dell’attesa

“Spogliati e aspettami seduto sul letto, senza toccarti”.

Il messaggio è partito, ora non si può tornare indietro. Da giorni aspettava questa serata, un’attesa estenuante resa gustosa dal suo stesso desiderio. Glielo aveva detto più di una volta negli ultimi giorni, il bisogno di toccarla, di toccarsi, di alleviare la tensione. Com’era quello slogan? L’attesa del piacere… Le regole  sono chiare: una settimana senza nessun contatto. E poi…

E poi sarebbe stato suo. Ma alle sue condizioni, ovviamente. E’ lei ad avere il controllo in queste serate con i telefoni spenti, la vita che resta fuori dalla porta di casa, i problemi che non esistono, i conflitti ridotti a un occasionale scudisciata sui suoi glutei sodi. Ah, non c’è modo migliore di perdere e trovare il controllo allo stesso tempo. Lei infila le chiavi di casa nella serratura e le gira, lentamente, i portachiavi tintillano. Sa che lui può sentirla entrare, così prolunga l’attesa, si libera del cappotto con calma, con la stessa flemma sale le scale fino alla camera da letto. Lui è lì, nudo, seduto sull’angolo del loro letto, il sesso già turgido ed eretto, ma le sue mani diligentemente appoggiate sulla coperta. Gli occhi neri la guardano con bramosia e quel pizzico di sfida che alimenta il loro gioco. Ma a entrambi piace quando è lei a rimetterlo al suo posto. Lei che ora non lo dedica quasi di uno sguardo, mentre si denuda senza preamboli, restando in slip, un piccolo triangolo di cotone bianco e senza fronzoli, slacciabile ai lati. Non ha bisogno di latex, tacchi vertiginosi e a spillo: bastano i suoi occhi a trafiggerlo e impalarlo al letto.

Lei si slega i capelli tinti di un viola acceso, un colore frivolo che nella luce soffusa della stanza diventa velenoso. Il suo sorriso, i denti piccoli e bianchi come perle, con i canini che sporgono leggermente sulle labbra tinte, lo scatto noncurante del polso mentre si butta i capelli alle spalle in una fiammata purpurea e si avvicina: tutto in lei, così piccola e goffa durante il giorno, urla PERICOLO. Lui deglutisce, meritandosi un altro ghigno obliquo. E’ così vicina che può sentirne il calore della pelle. Ma ovviamente non può toccarla, a meno che non gli venga concesso.

Lei si china in avanti, una ciocca di capelli sfugge verso il basso e gli solletica la spalla. Chiude gli occhi. “Aprili”, arriva prontamente il comando, respirato a pochi millimetri dal suo orecchio. Di riflesso stringe i pugni sulla coperta. “Allora – continua lei, troppo vicina e troppo lontana allo stesso tempo -, pensi di aver fatto il bravo?”. E’ come un’interrogazione, di quelle che finiscono inevitabilmente male. Eppure lui sa le risposte. “Sì”, sussurra, la bocca secca e impastata. “Non ti sei toccato per tutta la settimana – Lui deglutisce un’altra volta mentre lei continua -. Nemmeno guardando le foto che ti ho mandato. O quando mi sono masturbata davanti a te l’altra sera”. No. Era stata una delle cose più difficili della vita guardarla sospirare di piacere, le sue dita che affondavano tra le sue gambe e non poter fare nulla, nemmeno raggiungere il proprio orgasmo. Ma queste erano le regole e le aveva rispettate. “Non sei venuto, nemmeno una volta…”. Non riesce a vedere il suo viso, così vicino al suo orecchio, ma può sentirla sorridere. “Sei stato così bravo che sto penando di farti aspettare ancora un po’…”.

Questa volta il gemito roco che aveva intrappolato in fondo alla gola riesce a infrangere la barriera dei denti. “Su su – lo consola lei, mentre si allontana per prendere le corde dal cassetto del comodino – non peggiorare le cose o potrei decidere di farlo davvero”.

No non lo farà. Lui non è il solo a bruciare di desiderio in questa stanza. Certo, lei non si è negata il piacere fisico negli ultimi giorni, ma vedere le sue mani stringersi e torturare la coperta, con le nocche bianche e le vene che guizzano sul dorso della mano… E’ come stare vicino a un falò, sempre più vicino per stare al caldo: difficile non bruciarsi.

Pazienza, ancora un po’ di pazienza. E’ lei che ha il controllo, ma è il piacere di lui il vero scopo.

“Sdraiati a pancia in su e con le mani unite davanti a te”. Stando attenta a non toccarlo troppo, prima gli lega i polsi insieme, poi fa passare la corda tra le sue gambe, attorno e sotto il suo sesso, un anello di corda molto largo che però, se lui solleva le mani, gli cinge i testicoli, sollevandoli e premendo più in basso, sulla striscia di pelle sensibile che si perde poi in mezzo ai suoi glutei. Dopo essersi assicurata che i nodi non fossero troppo stretti o fastidiosi per il suo compagno di giochi, lei si gli si mette a cavalcioni, gli slip ancora indosso. La pelle di lui è bollente contro l’interno delle sue cosce, ma mai come le labbra che si schiudono sotto il cotone, tra le sue gambe. Può sentire il suo pene sobbalzare sfiorandole il sedere in una contrazione involontaria e disperata. Quando lei si accarezza contro la corda intrecciata che va dalle sue mani verso il basso, lui può sentirne la ruvida vibrazione fino alla punta del pene. Lei si sta ancora muovendo contro il suo ventre, quando slaccia i lati degli slip, sempre lentamente, guardandolo fisso negli occhi. Lui non fa in tempo a intravedere i suoi umori brillare sulla corda che gli slip umidi appoggiati sulla sua faccia gli impediscono la visuale. Improvvisamente c’è solo il suo odore forte, dolciastro e meravigliosamente strano, la leggera pressione della corda sul suo scroto ad ogni suo movimento e il fuoco del suo centro che gli sfiora la pancia. Sente la pressione delle sue cosce cambiare mentre lei si sposta verso l’alto, portando il suo umido calore verso le sue mani, facendo rotolare il clitoride tra le sue dita intrecciate come la perla di un’ostrica. Ma non è abbastanza, e mentre lei si sposta ancora verso l’altro traccia il suo percorso umido sulla sua pelle. Sposta appena gli slip per liberare la sua bocca e solo allora lui capisce.

“Visto che sei così silenzioso – la voce di lei è un sussurro tra i sospiri – diamo qualcosa da fare alla tua lingua“.

Non se lo fa dire due volte, non appena sente le sue piccole labbra nascoste schiudersi sulle sue. Traccia orbite svelte con la lingua, aggiungendo pressione man mano che la sente ansimare, le mani appoggiate alla testata del letto per sorreggersi. Cieco e muto, affogato nel suo odore e nel suo sapore, lui vorrebbe afferrare quei meravigliosi globi morbidi che sente sul collo, ma le mani sono legate e ogni sussulto e spasmo si trasforma in una strattone languido al suo inguine. La sente affondare un ultima volta il pube contro la sua bocca con un gemito strozzato, poi la pressione e la chiara cortina dei suoi slip spariscono. E c’è lei, le cosce e il viso arrossati e imperlati di sudore, piena come una pesca da mordere, il respiro affannato, gli occhi che brillano ancora e un sorriso appuntito che le si forma sulle labbra mentre si inarca all’indietro. Ora lui può vedere solo la doppia curva dei suoi seni, i capezzoli turgidi come le ciliege, quando chiedono solo di essere colte prima di esplodere con l’estate. Lui chiude gli occhi lasciandosi andare in un gemito che lo attraversa tutto, quando sente le unghie sulle cosce, all’interno, sempre più vicine al suo sesso.

Il bisogno di essere toccato è diventato un ronzio sordo e persistente che gli attraversa la spina dorsale.

“Ti prego…”, si lascia scappare. Non è certo la parola di sicurezza, ma a entrambi piace sentirlo pregare, quando la voce si rompe contro la potenza del desiderio, ma non è ancora abbastanza. Non è mai abbastanza.

Lei ride, sadica e innamorata, sa il vero significato di quel lamento: “Ho appena cominciato”. Si siede nuovamente sul suo petto, contro le sue mani legate, ma questa volta gli dà le spalle, mostrandogli la curva piena del suo sedere, che tanto vorrebbe afferrare. “Non puoi venire – aggiunge, mentre sottolinea il concetto tracciando il profilo del suo pene con un’unghia -, te lo proibisco: finché non ti dirò di farlo, non puoi venire”. Lo sente tramare mentre comincia la tortura, carezza leggere e irregolari al suo pene, tra le gambe, sulla pelle dello scroto, sempre più tesa e calda. Lui si contorce, cercando di amplificare il contatto e la pressione, ma guadagnando solo uno strattone alla corda. Il respiro gli si strozza in gola mentre lei gli serra la base del pene. “Non puoi venire! Non ancora“.

Mentre lui cerca di riprendere fiato e trattenere la tensione che minaccia di esplodergli tra le gambe, lei si sposta ancora. Un attimo e gli è sopra, stuzzicandolo con languidi movimenti del bacino, facendo scivolare la punta del suo pene all’entrata del suo sesso e poi tra le sue natiche e ancora tra le piccole labbra umide. Lo guarda da sopra una spalla: gli occhi socchiusi, il respiro affannato, una goccia di sudore che scivola dall’orecchio lungo i tendini tesi del collo. “Guardami”. Quando è sicura di avere la sua attenzione, lascia scivolare tutta la cappella dentro di sé.  Lui non cerca più di trattenere i gemiti rochi, le mani si stringono e si contorcono, muovendosi e tendendo la corda. “Non puoi venire”, ripete lei, il respiro ancora una volta laborioso, mentre continua a muoversi, alzandosi e abbassandosi sul suo sesso teso e duro, un centimetro in più ogni volta, finché non è tutto dentro di lei. Lui getta la testa all’indietro trattenendo il respiro, con un rumore strozzato e animalesco. Sa che è troppo vicino: lei gli serra la base del pene e si lascia andare, il bacino che si muove a ritmo sincopato e disperato, per raggiungere un secondo orgasmo e liberarlo da quella tortura. “Non ancora – ansima, ormai vicina – Non ancora“. Lui non la sente, perso in un altra dimensione dove il dolore, la tensione, la frustrazione, tutto si aggroviglia al piacere e aspetta solo che lei sciolga quel nodo per lasciarsi esplodere e sciogliersi e ricomporsi e frantumarsi ancora. Con un sospiro più lungo degli altri, allentando la morsa delle dita sul suo sesso e impalandosi un’ultima e gloriosa volta, lei si gira e sorride, anticipando il momento: “Adesso”.

Lui non sa molto sul Big Bang, ma ogni volta, ad ogni loro gioco, dopo la lunga e agonizzante attesa, è così che se lo immagina: luce e buio insieme, l’esplosione di mille stelle davanti agli occhi, atomi impazziti che lo attraversano e una frenesia nell’aria che si porta via tutto, lo lascia cieco e sordo, spossato, ubriaco, delirante e vivo. Un passo oltre il paradiso e uno prima della pazzia. Quando i suoi occhi riescono a mettere a fuoco le cose terrene e reali, lei ha già sciolto i nodi della corda e gli si preme affianco, asciugando con una lunga carezza il sudore e le lacrime dalla fronte, dal viso, dal collo, dal petto che si alza e abbassa tra tra grandi respiri rotti. Alza faticosamente le braccia e si lascia stringere, accarezzandola a sua volta come avrebbe voluto fare fin dall’inizio, sui seni e i fianchi e la pienezza budinosa del sedere.  Lei sorride, godendosi la vista del suo uomo distrutto, vinto e sazio. Un’altra sessione di gioco perfettamente riuscita. “Grazie”, le sussurra lui, nascosto dietro al suo collo. La sente ridere e tremare nel bel mezzo di un lungo bacio pigro.

 

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