C’è un posto a Castel Maggiore, nell’hinterland bolognese, dove una villa quattrocentesca ospita, oltre la distilleria di uno dei brandy più pregiati e apprezzati del mondo, anche una collezione temporanea di scarpe e di sex toys storici. La bravissima guida turistica Anna Brini ha spalancato le porte sui segreti più piccanti di Villa Zarri, guidandoci in una visita ‘insolita’ attraverso le collezioni private che per un weekend sono state in mostra nel bellissimo palazzo, di proprietà della famiglia Zarri e oggi disponibile per matrimoni, cene di gala e convention aziendali.
Tra gli stucchi, i lampadari di vetro di Murano e le grottesche cinquecentesche delle grandi sale, hanno così trovato posto dildo, sex toys, gli antenati dei vibratori e dei condom, stampe erotiche, registri dei primi bordelli bolognesi, ma anche scarpe e stivaletti di ogni epoca e provenienza.
Così nasce il vibratore
Ma partiamo dai pezzi forti di questa collezione veramente intrigante: i vibratori.


Questi amati aggeggi sono nati per dare sollievo alle mani dei primi dottori che capirono come trattare l’isteria (come veniva definito il lunatismo delle donne a cavallo di ‘700 e ‘800 prima di capire che si trattava di insoddisfazione sessuale), ovvero con stimolazione manuale della vulva e della clitoride. Stimolazione che se da un lato spediva in paradiso le pazienti (sempre più numerose), dall’altro faceva piombare gli stessi medici in un inferno fatto di crampi alle mani e gomito del tennista. Finché non si pensò di affidarsi a protesi meccaniche, alimentate prima a manovella e poi con l’elettricità.
Così nacquero i primi ‘massaggiatori personali’ (in mostra anche le pubblicità dell’epoca e posteriori, tutte molto pudiche e piene di sottintesi), dalle forme alquanto strambe e che somigliano forse più a strumenti di tortura che a macchine per il piacere. In vetrina, anche marchingegni per la stimolazione elettrica che all’epoca si pensava aiutasse in caso di disfunzione erettile. Tutti questi prodotti vennero pubblicizzati e venduti sul mercato, ovviamente ‘camuffati’ e dissimulati (quasi comici i libretti di istruzioni in mostra). Una volta acquistati, un artigiano specializzato realizzava le ‘appendici’ necessarie e personalizzate.
Forme di piacere nella storia
Quelli dell’800 non sono però certo i primi prototipi di sex toys e nemmeno di vibratori. Si narra che persino le donne egizie usassero intrappolare in rotoli di papiro trattati e sigillati tanti calabroni vivi, che muovendo le ali tutti insieme facevano prendere il volo alla dama di turno. Meno leggendari ma altrettanto ingegnosi, i primi dildo in mostra, tra cui un esemplare concavo in vetro di Murano del ‘700, nel quale si poteva inserire l’acqua calda per una sensazione più ‘reale’, un pene in giada nera davvero raffinato proveniente forse dalla Cina e astucci penici degli indigeni dell’Amazzonia e della Polinesia. Tra i tanti oggetti curiosi in mostra, anche una cosiddetta cintura di castità finemente lavorata che però, come ha spiegato la guida, più probabilmente era usata dalle donne come difesa dagli stupri durante viaggi o situazioni promiscue, più che come ‘assicurazione’ contro l’infedeltà.

Non potevano mancare i Romani, in questo carosello storico-erotico, come dimostra la brocca con due seni e un pene come manico ritrovata nei lupanari di Pompei, mentre di ispirazione orientale sono i vari Kamasutra e stampe erotiche con posizioni al limite del contorsionismo.

Bordelli da record… in Università
Ma sono i documenti dei bordelli a lasciarci sbirciare nel passato anche prossimo della stessa Bologna. Tanti i certificati medici (settimanali), i tariffari, gli oggetti curiosi e ammiccanti e le fotografie delle prostitute che lavoravano nei bordelli della città, tra cui uno da record. Parliamo del bordello che sorgeva al posto dell’attuale Seminario di villa Revedin, che rimase in funzione per ben 507 anni consecutivi, dall’anno 1000 al 1507 appunto.

Bologna era molto famosa per il suo mercato del sesso, tanto che all’epoca si stima esercitassero in città ben 18mila prostitute. A Bologna nacque anche, tra il 1300 e il 1400, uno dei primi bordelli comunali nientemeno che nell’Archiginnasio: vista la grande presenza di maschi giovani in città per via dell‘università, il Comune decise di ‘assumere’ prostitute ad hoc per far fronte alla domanda sempre crescente degli studenti. Queste prostitute godevano, pur in un clima di stigmatizzazione e marginalizzazione, di uno status leggermente più elevato delle colleghe: potevano camminare per strada senza indossare i segni distintivi della professione e ricevevano uno stipendio dall’autorità cittadina.
Habemus Tutorem… grazie a mister Goldone
Parla bolognese anche uno dei protagonisti del sesso, il preservativo (di cui abbiamo già parlato in questo post). In mostra, accanto ai primi prototipi di lino imbevuto di disinfettante e chiuso con un nastrino e ai successori di gomma vulcanizzata di provenienza americana, anche i preservativi della Hatù, prima azienda italiana aperta a Bologna, per la precisione a Casalecchio di Reno, nel 1922. Il nome era formato dalle iniziali dello slogan aziendale, che era ‘Habemus Tutorem’. Fondatore dell’impresa era un certo commendator Goldoni, dal cui nome derivò il modo tutto bolognese di chiamare il condom, ovvero ‘goldone’.

Scarpe, croce e delizia nei secoli dei secoli

Infine veniamo alle scarpe.

Nonostante fosse una piccola mostra separata da quella dei sex toys, è impossibile ignorare la carica erotica che i piedi e le calzature hanno avuto e hanno tutt’oggi. A sottolinearlo, accanto agli scarponcini delle ballerine del Moulin Rouge e alle scarpe della regina Margherita e di Marilyn Monroe, ci sono le altissime calzature delle favorite degli harem dei sultani e le minuscole scarpe delle donne cinesi dai piedi fasciati. Tacchi estremamente alti e piedi minuscoli sono sempre stati riconosciuti come due elementi fondamentali della bellezza del piede femminile, anche a costo di usanze e torture agghiaccianti, come appunto quella di fasciare i piedi delle donne di alto rango nella Cina antica ma neanche troppo (ad oggi ci sono ancora 96 donne dai piedi ‘fiore di loto’ ancora in vita). Le minuscole babbucce erano rosso fuoco, il colore del sesso, e a punta, in modo che facendo capolino da sotto i lunghi vestiti, ricordassero un capezzolo appena intravisto.
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